Voto alle donne: conquista importantissima nella storia dell’emancipazione femminile passata attraverso movimenti delle donne che da oltre un secolo cercano riconoscimenti di ruoli pubblici perché in assenza del diritto di voto non c’è rappresentatività per affermare i propri diritti.
Impeto e passione, coraggio e determinazione, arrivati fino a noi attraverso echi non sopiti delle voci di donne che ancora risuonano nei libri di storia, nei romanzi, nelle poesie, nei canti portandoci nei loro pensieri, nella loro vita.
Un percorso non lineare con istanze sempre respinte e non solo in Italia indipendentemente dai diversi contesti e momenti storici, politici, culturali che le donne hanno sempre affrontato attraverso la costituzione di movimenti, reti, dimostrazioni, petizioni, marce, scioperi della fame per dare visibilità alla richiesta di riconoscimento del suffragio universale anche per loro. Voci di donne capaci di superare le singole posizioni sociali, i singoli ideali e visioni della vita cercando intenti comuni perché consapevoli del bisogno di ridisegnare la società per occupare ruoli pubblici riservati agli uomini sfidando con coraggio convenzioni e stereotipi, dell’importanza di costruire, di studiare, di organizzare il modo di rappresentarsi anche fuori dalle mura domestiche. Consapevolezza che non tutte le donne, nella loro contemporaneità, hanno raggiunto nello stesso momento anche se tra loro non mancarono voci dissonanti. E, nel lungo cammino verso il voto alle donne, ci sono state, anche se rare, voci di uomini a favore.
Ad aprire ad un progressivo ed importante spazio pubblico per le donne che lavoravano era stata la rivoluzione industriale perché il lavoro diventava luogo di emancipazione, dove la ricerca di uguaglianza con gli uomini significava, e significa ancora, riconoscimento di diritti. Riconoscimento che si accompagnava a diversi modelli o più esattamente alle “nuove” identità che uscendo dalla sfera privata si presentavano, e si presentano ancora, nella società e che le donne sentivano, e sentono ancora, il bisogno di ri-definire con la crescente consapevolezza della propria unicità come persone. Questo processo cominciò ad allontanare, nel tempo, la visione idealizzata della donna del passato dedita esclusivamente alla famiglia, rifiutandola quale esistenza “normalizzata” in quell’ ideale e trasformarla attraverso lo studio, il lavoro, la partecipazione alla vita pubblica; partecipazione alla vita pubblica in modo attivo di donne appartenenti alle diverse classi sociali, nobili, borghesi, operaie, contadine, maestre, telegrafiste… portando ognuna il proprio contributo, le proprie conoscenze, il proprio coraggio, la propria determinazione. La rivoluzione industriale apriva in quegli anni anche all’impatto delle trasformazioni sociali sul diritto (i “germi” del futuro, i “germi dei diritti sociali”).

Ma quando nasce la questione femminile?
La questione femminile nasce in Europa con la rivoluzione francese quando una donna, Olimpe de Gouges, presenta, senza trovare accoglimento, una “Dichiarazione dei diritti della Donna e della Cittadina” per avere una tutela giuridica tale da permettere alla donna l’esercizio dei propri diritti di uguaglianza, civili e politici, gli stessi riservati agli uomini. Alla fine dell’Ottocento la condizione delle donne aveva uno stato di minorità rispetto agli uomini. Uno stato riservato sia alle donne dei ceti agiati che vivevano in un modello femminile che si esprimeva all’interno delle loro case cercando fuori dalla famiglia attività da svolgere come beneficenza o come occupazioni lavorative più consone al loro stato sociale, favorite anche dalla possibilità di accesso all’istruzione, sia alle donne delle classi non agiate, che non avevano accesso all’istruzione, che lavoravano come operaie nelle fabbriche, come contadine, come domestiche, come commercianti, come sarte, maglieriste, ricamatrici… con salari bassissimi aggiungendo questo lavoro a quello della cura della casa e dei figli. Lavori svolti per necessità anche se non sufficienti per i bisogni della famiglia ma che, di fatto, erano anche una apertura, se non l’unica, al mondo “fuori dalla famiglia” per le donne delle classi non agiate. Per le donne borghesi, le donne dei ceti più alti, il lavoro “fuori dalla famiglia” poteva rappresentare, invece, per padri e mariti, incapacità a mantenere la propria famiglia.
I primi movimenti per il diritto di voto nacquero nel 1848 negli Stati Uniti mentre in Europa nel 1897 ma solo nel 1903, con la fondazione del “National Union of Women’s Suffrage”, attraverso dimostrazioni, petizioni, marce, scioperi della fame si riuscì a dare visibilità alla richiesta di riconoscimento del suffragio universale, cioè anche alle donne.
Riconoscimento che arrivò negli Stati Uniti nel 1919 mentre in Europa, nel 1907 per le donne finlandesi, nel 1923 per le donne inglesi, nel 1931 per le donne spagnole e portoghesi, nel 1944 per le donne francesi, nel 1945 per le donne italiane, nel 1971 per le donne svizzere.

Il cammino delle donne in Italia.
Nel nostro Paese le prime richieste per il suffragio alle donne risalgono all’indomani dell’Unità d’Italia, nel 1861, con una petizione presentata alla Camera dei deputati delle donne lombarde affinché il loro diritto di voto riconosciuto dal Codice austriaco teresiano seppur con delle limitazioni (benestanti e amministratrici dei loro beni e la possibilità di essere elette in alcuni comuni) fosse esteso a tutte le donne italiane. Diritto di votare ma non di essere elette riconosciuto alle donne anche nel Granducato di Toscana con un decreto del 1848. Nello Statuto Albertino (che vigeva dal 1848 nel Regno di Sardegna e dal 1861 nel Regno d’Italia), dove l’uomo occupava “naturalmente” la sfera pubblica e le donne “naturalmente” si dedicavano alla cura della famiglia e della casa, l’uguaglianza davanti alla legge di “Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado…” affermata nell’articolo 24, era rivolta “naturalmente” solo agli uomini, limitando la capacità giuridica delle donne sottoponendola alla tutela dell’uomo, padre o marito. Passi importanti, ma non decisivi per l’uguaglianza, fu l’approvazione della legge n. 4176 del 1877 che riconobbe alla donna il diritto a testimoniare negli atti normati del Codice Civile, la sentenza della Corte di Appello di Ancona del 1906 che, a differenza di altre Corti di Appello per le stesse istanze in altre città italiane, riconobbe l’iscrizione alle liste elettorali di alcune maestre marchigiane respinta però dalla Regia Corte di Cassazione di Roma che, in riferimento all’articolo 24 dello Statuto Albertino si espresse così “ …è così ovvio che le donne siano escluse dal diritto di voto, che non si è sentito il bisogno di dichiarare tale concetto nella formulazione dello Statuto Albertino”, e l’abrogazione dell’autorizzazione maritale con la legge n.1176 del 1919. Interessante, da punto di vista giuridico, l’interpretazione dell’articolo 24 dello Statuto Albertino, di Ludovico Mortara, Presidente dell’allora Corte di Appello di Ancona, che superando “ogni prevenzione personale” sull’estensione del diritto di voto alle donne dichiarò: “Essa non si cristallizza in una forma iniziale per sempre irriducibile, ma vive la vita stessa della civiltà, ed è animata dallo spirito di questa. Indagarne il significato, indicarne l’intenzione è compito del magistrato innanzi a cui sorge la controversia su tale proposito ed in relazione al caso dal quale essa è occasionata.” (1)
Dall’Unità d’Italia alla prima guerra mondiale diverse sono state le azioni per migliorare la vita delle donne, con il riconoscimento non solo del diritto di voto ma anche con forme di tutela della loro condizione sociale e lavorativa. Azioni che hanno visto petizioni, proposte di legge, nascita di movimenti e associazioni femminili organizzate e con organi di stampa propri.
Il primo movimento delle donne nacque a Milano nel 1880 quando Anna Maria Mozzoni insieme ad altre donne fondarono la “Lega promotrice degli interessi femminili” non solo per il diritto di voto e l’abolizione dell’autorizzazione maritale ma anche per i diritti sociali (Cassa di maternità, istruzione… ). Nel 1899 nacque, sempre a Milano, ad opera di donne di diversa estrazione sociale l’Unione femminile che, diffondendosi velocemente anche in altre città, diventò, nel 1905, nazionale. Un movimento a favore del suffragio alle donne rappresentando allo stesso tempo la specificità femminile anche attraverso la pubblicazione dal 1901 al 1905 di un mensile. Nel 1903, a Roma venne fondato il “Consiglio nazionale delle donne italiane” affiliato all’ “International Council of Women” che raccoglieva diverse associazioni femminili; attraverso questo Consiglio, i movimenti delle donne italiane entrarono nel movimento internazionale. Il “Consiglio nazionale delle donne” organizzò a Roma, nel 1908, il primo “Congresso delle donne” che affrontò i temi dell’istruzione, del lavoro, della salute e dei diritti politici delle donne rappresentando le diverse classi sociali. Un evento per quei tempi straordinario che ebbe una grande risonanza nella stampa e dove parteciparono anche alcuni uomini illustri senza diritto di voto ma che non ebbe gli effetti sperati.
Un punto di svolta sembrò arrivasse nel 1912 con l’inserimento del suffragio anche alle donne nel dibattito parlamentare sul suffragio universale; l’emendamento a favore delle donne raccolse solo 48 voti e fu respinto.
La prima guerra mondiale tolse spazio alle attività per il suffragio alle donne ma le vide impegnate come crocerossine, come operaie … al posto degli uomini al fronte.
Dopo la guerra, venne approvata la legge n. 2125 del 1925 che concedeva il voto alle donne con determinati requisiti e limiti per le elezioni amministrative che, di fatto, non entrò in vigore per la riforma degli enti locali.
Si tornò a parlare di suffragio alle donne alla fine della seconda guerra mondiale: le donne avevano acquisito ancora più consapevolezza sull’importanza della loro partecipazione attiva nella vita pubblica e ancora più determinazione dopo aver vissuto e affrontato con coraggio un’altra guerra e partecipato attivamente anche alla Resistenza.
Le donne votarono così per la prima volta per le amministrative nel 1946 con candidate elette nei consigli comunali e nel 1948 per il referendum del 2 giugno e furono elette 21 donne alla Costituente su 226 candidate.
La presenza delle donne che votarono sia nel 1946 sia nel 1948 fu eccezionale.
Le donne Costituenti elette consapevolmente agirono insieme per inserire nella Costituzione la parità giuridica con gli uomini in tutti i campi, famiglia, lavoro, istruzione, trattamento economico… il cammino per una piena cittadinanza delle donne iniziava…
Pagine ancora da scrivere…

Allora, porgiamo l’orecchio…
echi…
da un passato lontano e vicino
da non dimenticare
per entrare nella vita delle donne
che hanno lottato per i loro e per i nostri diritti
insieme
superando le loro differenze sociali e culturali
parole ancora vibranti
dalle voci di alcune di quelle donne…


“ …io sarò l’interprete, povera interprete delle nostre aspirazioni che diranno la via , anzi le nuove vie, che sentiamo deve seguire con ardore sempre più intenso e fede sempre più sicura, la donna che vuole cooperare efficacemente a febbrile e spesso doloroso lavoro di evoluzione che la società compie...”

 

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